Introduzione

L’infiammazione è da considerarsi sempre “fenomeno ambientale” perché corrisponde alle capacità dell’organismo di rispondere a noxae patogene interne e/o ad alterate condizioni dell’ambiente in cui è immerso. Nella genesi dei processi infiammatori cronici non vi sono fenomeni totalmente patologici, ma fenomeni che diventano patologici quando eccessivi, quando cioè perdono la loro capacità di regolazione o sono mal localizzati. Quale che sia la loro velocità di estrinsecazione.

Da ciò ne consegue, almeno da un punto di vista teorico, che gli interventi terapeutici non dovrebbero essere esclusivamente mirati a spegnere il fenomeno infiammatorio, quanto piuttosto ad “orientarlo” ed a prevenire effetti e complicazioni.

In campo terapeutico la suggestione che deriva dall’utilizzo delle strumentazioni a LED (Light Emitting Diodes) è quella di riuscire a regolare alcune funzioni organiche agendo in maniera “atraumatica e non invasiva su strutture periferiche fisiologicamente deputate alla trasduzione di segnali di natura chimico-fisica in segnali biologicamente compatibili.

I LED non inducono l’effetto di fototermolisi selettiva dei laser ma sfruttano la capacità delle cellule di percepire la direzione e la frequenza dei messaggi luminosi al punto da formulare con i loro sistemi biologici di riconoscimento quello che è stato definito il “codice della luce”.

Quando si utilizzano radiazioni luminose non ionizzanti a bassa intensità (la densità di potenza si esprime nell’ordine dei mWatt) per condizionare l’attività biologica delle cellule si parla di fotobiomodulazione e  si vuol esprimere quel complesso di relazioni biochimiche che si instaurano tra i fotoni luminosi emessi (“chi parla”) ed alcuni recettori cellulari specifici (“chi ascolta”).

La comunicazione si basa così sulle caratteristiche cliniche di chi è pronto a ricevere l’informazione luminosa e sulla serie di tutti quei parametri fisici sopra citati: la lunghezza d’onda, la frequenza dei picchi tra le diverse onde, l’intensità di energia, fattori legati al tempo di trattamento e di intervallo tra gli impulsi luminosi. Codici diversi determinano in questo modo effetti biologici diversi.

La logica terapeutica biodinamica

La logica patogena, dinamica per definizione, tende a mutare nel tempo e ad evolvere: il fatto che il sistema tenda ad autoregolarsi e che le funzioni difensiva ed offensiva dell’infiammazione siano difficilmente separabili vanifica talvolta l’intervento terapeutico.

Possiamo però individuare alcune regole generali di comportamento che andranno, come ovvio, adattate ad ogni singola circostanza:

  • scoprire le possibili cause individuali e/o am bientali e rimuoverle
  • prevenire i fattori causali di recidive
  • condizionare le reti di comunicazioni cellulari

Se è vero che il primo atto medico è la prevenzione, di fronte ad un quadro patologico in evoluzione, possiamo adottare tre linee di condotta sostanziali:

  • Istruire una terapia eziologica che contrasti e minimizzi le possibili cause di malattia
  • Istruire una terapia di soppressione che combatta le manifestazioni principali: va ricercato  il sollievo immediato della sintomatologia e interrotto il possibile quadro di “distorsione” e di amplificazione del danno
  • Istruire una terapia di sostituzione che ripari il danno su un piano biochimico ed anatomico

Nel campo della Medicina Riabilitativa gli “interventi soppressivi e sostitutivi” si impongono, è ormai concetto acquisito che occorre aiutare le dinamiche di guarigione dell’organismo stesso.

Tecniche e terapie, queste che possono (secondo noi devono) accompagnare i percorsi terapeutici già storicizzati. Data la complessità dei processi regolatori che si sono perfezionati nel corso dell’evoluzione, infatti, la vera “estituitio ad integrum” da una malattia non può essere compiuta, infatti, che dall’organismo stesso.

Perché ciò avvenga è necessario che il sistema oggetto sia al centro della dinamica patologica che sottende il quadro clinico. La dinamica patologica può essere costituita anche dall’ambiente nel quale il soggetto vive.

La moderna biologia cellulare ed immunologia hanno sottolineato il fatto che la sensibilità dei sistemi biologici ad un trattamento può variare considerevolmente non solo in base alle predisposizioni di quel soggetto, ma anche in base a specifiche caratteristiche ambientali. E le ragioni di ciò riguardano le modalità attraverso le quali le cellule, i tessuti e gli organi regolano il grado di sensibilità al recettore a livello biochimico. E la sensibilità dei sistemi biologici e dei regolatori endogeni ed esogeni è il prodotto di delicati equilibri dinamici: durante gli stati patologici sono predisposti a cambiamenti di sensibilità per modificazioni nella comunicazione intracellulare o nei sistemi enzimatici ed umorali intercellulari.

Così secondo la logica della regolazione delle reti omeodinamiche, nelle fasi acute della malattia, se la reazione infiammatoria si svolge in modo adeguato – senza “eccessi” nella regolazione dei diversi sistemi coinvolti e quindi nei loro riflessi sintomatologici – potrebbe non essere richiesto alcun intervento e sarebbe sufficiente rimuoverne le cause.

Se, al contrario, la reazione raggiunge fasi sproporzionate rispetto alle capacità di tolleranza endogena del sistema dinamico, occorrerà intervenire inibendo da una parte i sistemi che sono iperattivi e stimolando dall’altra quelli caratterizzati da una funzionalità troppo scarsa.

Il passaggio chiave verso la cronicizzazione del fenomeno patologico sta proprio nell’adattamento dei sistemi nei confronti dei segnali stressogeni, nella loro mancata responsività e reattività.

Nel disaccoppiamento dei recettori dai sistemi di trasduzione del segnale fisiologico e nella disattivazione dei sistemi effettori cellulari va individuato un sistema bloccato per l’insorgenza di un adattamento patologico.

Il fenomeno infiammatorio, la matrice extra-cellulare e la luce

Tutta  la medicina moderna si è basata sulla teoria  di Virchow che stabilisce che la malattia è legata a disturbi di cellule individuali. Sappiamo infatti che le cellule hanno una relazione reciproca con l’ambiente nel quale sono immerse, dopotutto spendono il 70% della loro energia per produrre un qualche cosa che va al di fuori di esse!

L’ambiente extracellulare è strutturato in sezioni strettamente interdipendenti dove ogni segmento (matrisomiale, fagocitario, nervino, vascolare etc.) seppur presenti una propria linea operativa specifica, concorre a dar forma a quello che viene definito da L. Turco “bacino d’attrazione matriciale”.

Ormoni, neuropetidi, citochine e complessi enzimatici, sebbene con funzioni distinte, appaiono lembi di un complesso e delicato sistema coinvolto nel funzionamento e nella messa a punto delle relazioni tra matrice, microvasi e sistemi recettoriali.

Sistema, questo che sappiamo coinvolto sin dalle prime fasi nell’instaurarsi del processo infiammatorio.

La matrice extracellulare è composta da una sostanza fondamentale e da una componente fibrillare, immerse in una soluzione detta amorfa. E’ organizzata da tessuti connettivi, di sostegno e da sangue, poi ci sono le proteine i polimeri dello zucchero ad elevato peso molecolare.

Questi possono essere in forma libera o con speciali legami con proteine o lipidi e danno vita a sostanze intercellulari ed alla pellicola superficiale dello zucchero individuale (glicocalice) di ogni cellula.

Proteoglicani, glicoproteine strutturali come il collagene, l’elastina, la fibronectina, la laminina sono utilizzati dalle cellule del tessuto connettivo ed rimangono essenziali per il metabolismo dei vasi capillari.

La matrice è collegata al sistema ghiandolare endocrino tramite i capillari (a loro dà dinamismo) ed al sistema nervoso centrale tramite le terminazioni periferiche nervose vegetative, cieche nella matrice. Poiché i capillari, le fibre nervose vegetative e le cellule del tessuto connettivo sono reciprocamente informate tramite i prodotti cellulari liberati, il risultato è un vasto sistema umorale intercorrelato. Una sorta di network in grado di regolare ed al bisogno incrementare le capacità di prestazione sistemiche.

Ricordiamo che subito dopo il danno si ha una brevissima costrizione dei vasi sanguigni circostanti attraverso l’intervento di istamina e prostaglandine seguita quasi immediatamente da una dilatazione dei vasi e un aumento del flusso ematico. I tessuti danneggiati rilasciano poi una serie di sostanze (istamina, serotonina e chinine) che agiscono sia sulla vasodilatazione, sia sull’aumento della permeabilità dei vasi. Questo aumento del flusso sanguigno, che porta a calore e dolore della parte interessata.

Si ha così un aumento del letto capillare, con fuoriuscita di liquidi ed aumento della viscosità del sangue. La conseguenza è un rallentamento del circolo (stasi) che permette la emarginazione (avvicinamento all’endotelio) dei leucociti circolanti che si dispongono lungo l’endotelio dei vasi, per migrare, successivamente, nel tessuto interstiziale.

In una seconda fase si verifica l’apertura dei gap intercellulari (giunzioni comunicanti, punti in cui le membrane plasmatiche di cellule adiacenti si avvicinano strettamente fra loro, ma non prendono diretto contatto) dell’endotelio per azione di istamina, bradichinina e leucotrieni; TNF (tumor necrosis factor)  e IL1 (interluchina 1: mediatore chimico prodotto da macrofagi che media infiammazioni, l’immunità naturale e l’attivazione dei linfociti) agiscono sul citoscheletro provocando retrazione endoteliale.

L’aumento della permeabilità dei vasi fa si che fuoriesca nello spazio interstiziale un liquido ricco di proteine con la riduzione della pressione oncotica intravascolare e conseguente aumento del fluido interstiziale. Il liquido che si accumula nell’interstizio porta ad edemizzazione dell’area infiammata e conseguente incremento della sintomatologia algica.

In questo microscopico spettacolo la matrice preserva i legami biologici sostenendo la capacità di modulare la relazione capillare/recettore. In accordo con la letteratura corrente sosteniamo infatti che la matrice sappia mantenere in special modo una funzione attiva nei confronti delle microcomponenti vascolari che la attraversano.

La connessione tra microvasi e parenchima avviene sì ai margini dei connettivi, e per periodi elettivi di attività, ma con una riserva sostanziale: il passo dell’informazione molecolare è sospeso tra coerenza ed uniformità, legami deboli e specifici e giochi elettromagnetici di sotto-sovrastimolazione.

Così, se adeguatamente stimolata da un codice luminoso che è in grado di decifrare, la struttura biologica matriciale sa caratterizzarsi come evento adatto al dialogo biologico “semplicemente” con infinitesimali passaggi molecolari in bassa concentrazione.

Alcune strutture della matrice, infatti, sono in grado di modificare le loro stesse caratteristiche stereochimiche in funzione delle esigenze delle cellule e consentono alla matrice di riaprire, se non proprio di ospitare, vettrici vascolari inespresse .

È un po’ come se la matrice extracellulare (probabilmente attraverso proteasi ed endopeptidasi zinco dipendenti) facesse un trasloco interno: prima di ricanalizzare percorsi chiusi, se non proprio dare origine ad un nuovo vaso (processo di neoangiogenesi), bisogna creare lo spazio adatto.

Una sorta di make-up molecolare che, a livello pre-capillare, porterebbe a variazioni nella probabilità di rilascio e flessibilità correlate proprio ai cambiamenti quantali nelle connessioni rafforzate o indebolite dalla precedente attività.

La condotta generale del sistema matriciale fluirebbe così nella disposizione delle connessioni locali, il cui risultato si manifesta nel comportamento dei circuiti vascolari in situ.

Basta davvero poco per attivare un meccanismo relativamente semplice basato sul passaggio gel-sol, sull’effetto tixotropico e piezoelettrico determinato da una variazione repentina e momentanea della carica elettrica dei proteoglicani. Il reticolo proteoglicanico, sintetizzato dai fibroblasti è capace di vibrare e reagire di fronte a stimolazioni elettriche o elettromagnetiche.

Le recenti scoperte in campo biofisico chiariscono come moltissimi meccanismi cellulari siano modulati da variazioni anche infinitesimali dell’attività elettrica della matrice: il tono elettrostatico di base reagisce ad ogni cambiamento della matrice extracellulare con deviazioni del potenziale, che a loro volta informano la membrana cellulare tramite una variazione del potenziale del glicocalice, strettamente interconnesso con proteine trans-membranarie. Quando la deviazione di potenziale è sufficientemente intensa si assiste ad una depolimerizzazione della membrana cellulare stessa con una sorta di selezione dell’informazione biochimica.

La velocità di queste trasformazioni giustifica l’ipotesi di modelli matematici che chiamano in causa la biofisica quantistica e che vengono letti in chiave di attivazione dei processi biochimici a cascata.

Da questo momento in poi inizia la sintesi, da parte delle cellule interagenti, di proteine tessuto-specifiche e, poiché l’ambiente in cui questo processo ha inizio e si mantiene è in continua mutazione, l’organismo dovrà progressivamente affinare le sue capacità di adattamento.

La selezione del messaggio biochimico è in grado di “sfruttare” la velocità d’azione dei meccanismi biofisici: il sistema utilizza vie di trasmissione dei segnali legati a processi quantistici di ordine fisico (deviazioni di potenziale elettrico) per ripristinare equilibri omeostatici dinamici.

Si assiste così al ripristino della funzionalità cellulare (corretta polarizzazione) attraverso l’interazione con ciò che sta all’esterno della cellula stessa.

Conclusioni?

Oggi la moderna biologia ha accumulato una massa di dati riguardanti le componenti ed i meccanismi molecolari coinvolti nei processi omeodinamici e adattivi del nostro organismo, superando le concezioni vitalistiche Hannemaniane. Ma una volta chiarito questo aspetto si può continuare ad utilizzare la metafora della forza vitale perché rende bene l’idea dell’insieme delle straordinarie proprietà dinamiche ed organizzative che caratterizzano l’essere vivente.

In termini pratici tutto ciò delinea i contorni di un percorso terapeutico non invasivo per la gestione e conseguente modulazione dei fenomeni infiammatori.

Si allega l’articolo originale.